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Per te
Succede quando la primavera si veste di follia e improvvisamente quel sole
dell’inverno cambia il suo vestito frantumando la penombra prima dell’alba
e rimescolando il riverbero delle brine sui delicati germogli. Oltre la tua casa
c’è un bosco fitto dove si rincorrono le trasparenze e si ammutoliscono gli
echi che si rintanano nei piccoli anfratti, rifugio di elfi nelle notti quando la
magia della luna cerca i propri occhi. In sogno, mi sono imbattuto in un
laghetto di specchi; e dentro leggevo una storia, tante storie, di un dolore
pregno e di tante piccole felicità, incoronate come un rosario di perline
fosforescenti e luccicanti, frammiste a perle nere.
Ogni riflesso, era un frammento di storie, come le cose che scivolano dalle
mie dita mentre le scrivo qui.
Desidererei tanto qui trovarti, per magari potersi dire cose con la meraviglia
dei bambini e fare ohhhh! con gli occhi sgranati e il cuore un poco
impaurito, anche se non si avesse più nulla da dare, oltre il sogno che
rimane. Cerco nell’aria la voce, la tonalità delle tue corde coincidenti con le
distanze dai fatti. Gli elfi del bosco continuano a girare intorno, e ne
intravedo il loro fulmineo muoversi in una scia che si perde dietro una
betulla non più giovane, con dei nodi sul tronco a forma di una bocca
spalancata e due occhi di domande: cosa è successo? perché è stato così?
Ho spalancato le braccia per abbracciarlo e ho soffiato forte nella sua bocca,
fino a liberarmi di tutta l’aria che mi conteneva. Insieme, in quell’abbraccio
siamo volati in un cielo azzurro e delicato; e, giuro, di aver sentito la tua
voce ripiena di quelle parole del cuore che sono sempre rimaste a mezz’aria,
come favole che hai immaginato fossero scritte solo per te.
Da sempre avrei dovuto capire che nulla muore; e se ciò accade è solo per
un momento; un volo nell‘anima, per comprendere che per vivere hai
bisogno di volare nell’immensità del cielo, dove ogni risposta riverbera e
sottende un unico senso: l’amore nella sua accezione più alta e profonda.
Di questo io ringrazio il cielo: da sempre, fin dal nostro primo incontro la
tua nobiltà e fede l’hai estesa a me senza nulla chiedere in cambio. Ora io
so, che diversamente tutto sarebbe stato una semplice estasi di scialbi
tramonti; poiché, di quale nobiltà parrà la nostra estasi se, chiamandoci
uomini, avremmo rifiutato il più sacro e umile dono dell’assoluto. E di ciò il
tempo ne fa memoria, rinchiudendoci nella prigione dei rimpianti e del bene
mancato come un frutto proibito colto nella vanità e presunzione di saperci
materia che governa gli elementi di ogni cielo, senza la misura dell’amore
che trascende, supremo architrave. Un semplice grazie, per esserci, rimane
l’umile mio dono per te. Per sempre.


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