N.O.O. 01; forza lavoro .pdf

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Title: Microsoft Word - Lavoro
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01
Prologo

N(ihil). O(bstat). O(bstat).

Al di là di qualsiasi determinazione storica, economica, sociale e geografica la forza-lavoro
rappresenta il fondamento indefinito di qualsiasi produzione. Per forza-lavoro s’intende un
processo cognitivo in divenire-aperto, indissolubilmente intrecciato a una conseguente
trasformazione delle interazioni tra un corpo al lavoro e uno −o più ecosistemi di
riferimento. Vi è, dunque, una distinzione tra la virtualità costituita dalla forza-lavoro e
l’attualità del lavoro stesso. La potenza – terzo elemento in gioco, ponte tensionale teso tra
il virtuale e l’attuale –, esprime ciò che deve necessariamente essere espresso, ossia
consente a ciò che è sommerso di emergere e fluire all’orizzonte degli eventi. In questo
senso la potenza è l’esatto opposto dell’impotenza, del frustrante incatenamento
dell’energia, dell’impedimento all’espressione.
L’irrigidimento e lo svilimento della forza-lavoro (ovvero l’incanalamento costrittivo dei
flussi d’espressione in modalità di lavoro che non consentono l’accrescimento della
potenza), la separazione della forza-lavoro dal lavoro, e l’ulteriore distanziamento di
quest’ultimo dalla produzione costituiscono l’espropriazione del lavoro nella sua forma più
pura. Solo avanzando da questi presupposti è possibile comprendere l’ugual miseria
esistenziale dell’animale (letteralmente) catturato nella sfera antropica e del lavoratore
salariato: la repressione della forza-lavoro esplode in cortocircuiti patologici distruttivi e
auto-distruttivi.
Reinstallando materialmente il lavoratore all’interno degli ecosistemi di riferimento,
possiamo affermare che la funzione principale del lavoro sia di plasmare adattivamente gli
ecosistemi, accrescendo inoltre la potenza di un concatenamento produttivo. Vaste reti
connettive di assemblaggio-produzione endosimbiotico compongono i corpi in-organici
degli ecosistemi, i quali a loro volta s’interfacciano nel corpo senz’organi planetario.
L’espropriazione del lavoro corrisponde, perciò, all’espropriazione dei concatenamenti
ecosistemici, alla deviazione dei flussi macchinici di potenziamento verso vincoli di
accumulo. La forza-lavoro incatenata è malinconia, bile nera che evoca gli spiriti della
terra: metalli pesanti e idrocarburi contaminano e saturano gli ecosistemi; i vincoli
d’accumulo godono della propria ascesa, incuranti del collasso degli assemblaggi che
dominano e parassitano.
Con una sorta di osceno rovesciamento dialettico-tumorale gli assemblaggi paiono
parassitare i vincoli di accumulo: l’inorganismo ecosistemico sembra curvarsi sulle
escrescenze abnormi del capitale, nutrirsi di esso, grazie a esso.

Data la caratteristica interconnettività e non autosufficienza dei sistemi complessi;
considerato il determinismo espressivo della forza-lavoro (e le conseguenze rovinose della
sua deviazione), si può, tuttavia, affermare l’impossibilità di appropriazione della forzalavoro. La titolarità sulle virtualità emergenti, di fatto, non spetterebbe unicamente
all’attore veicolante gli assemblaggi, ma, altresì, agli assemblaggi stessi che compongono
l’attore e consentono la produzione. Non dovrebbe meravigliare che l’attore sia, di volta in
volta, un atomo, una molecola, una cellula, un uccello, un bambino, un telaio, una fabbrica
o una corporation.
La forza-lavoro appartiene a tutti e non appartiene a nessuno. L’espropriazione del lavoro
è un evento che chiama a raccolta le forze riunite delle catene d’assemblaggio-produttivo.
Si è reso necessario riappropriarsi della propria non-appropriabilità, dare luogo a una
cospirazione globale della materia, delle onde e delle particelle, delle piante, degli animali e
dei minerali.
Si è reso necessario riappropriarsi della propria contingenza, del proprio divenire-aperto
non asservibile a strutture falsamente necessarie.
L’illusione della necessità (la menzogna che sostiene e produce l’ordine “naturale” delle
cose), occulta l’illegalità che “sfonda” i processi di concatenamento, delegittima la
razionalità del possibile in opposizione all’irrazionalità del fissismo.
L’uomo, in quanto oggetto fisico, in quanto corpo-molecolare, non può essere al tempo
stesso lavoratore salariato, giacché egli è desiderio di concatenamento e concatenamento,
prodotto e produzione, montaggio e funzione, stile in costruzione, forza-lavoro in
espressione. L’uomo, in quanto frammento del corpo senz’organi planetario, non è
asservibile o, ironicamente, è asservibile solo a condizione che il pianeta stesso si
sottometta a se stesso.
Assemblaggi avvengono in ogni direzione: assemblaggi qualsiasi, assemblaggi schizo
contradditori, assemblaggi parziali e assemblaggi totali-fusionali; corpi inadatti al lavoro e
alla socialità, corpi adattati allo scambio di calore e all’annusamento, al galoppo e alla lotta.
Nulla è dato, tutto è prodotto. L’accrescimento della potenza è consumazione gioiosa ed
esplorazione del possibile, disseminazione e dissipazione. Semplice come un fiume che
raggiunge la foce.


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